La Food and Drug Administration negli Usa e l’Organizzazione mondiale della sanità si erano dette disposte ad approvare solo vaccini efficaci al 50%. Né, durante le sperimentazioni, si sono verificati eventi avversi sui volontari, a parte in alcuni pochi gradi di febbre. La riduzione del 90% dei casi annunciata dall’azienda, però, riguarda la malattia con sintomi. Resta da chiarire se il vaccino riesce a impedire l’ingresso del virus nell’organismo o si limita a mitigare la malattia. In quest’ultimo caso, c’è il rischio che le persone vaccinate possano restare contagiose, diventando in pratica dei portatori sani.
Ora i risultati di Pfizer e BioNTech dovranno essere diffusi nei dettagli, con i dati sulla sicurezza sui 45mila volontari testati, e pubblicati su una rivista scientifica. L’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, ha già iniziato la sua valutazione a ottobre. La porterà avanti nei tempi più rapidi possibili. Entro il mese, o al massimo a dicembre, sono attesi anche i dati di altri due vaccini: AstraZeneca con Oxford e della biotech americana Moderna.
Il metodo usato per questo vaccino (e per quello di Moderna) è l’Rna messaggero. Un piccolo gene sintetico viene iniettato nell’organismo. Una volta penetrato nelle cellule, ordina loro di produrre una proteina della spike (la punta della corona) del coronavirus. La spike funge da antigene, stimola cioè la reazione del sistema immunitario. Vaccini simili sono in teoria semplici e rapidi da produrre. Ma la tecnologia è del tutto nuova. Quello per il coronavirus sarebbe il primo vaccino al mondo prodotto in questa maniera.